Appendix 4

Istorie fiorentine, VIII, 291

[1] I Fiorentini dopo la pace di Lombardia non potevono quietare, parendo loro cosa vergonosa e brutta che un privato gentile uomo li avesse del castello di Serezana spogliati. [2] E perché ne’ capituli della pace era che non solamente si potesse ridomandare le cose perdute, ma fare guerra a qualunque lo acquisto di quelle impedisse, si ordinorono subito con danari e con genti a fare quella impresa. [3] Onde che Agostino Fregoso, il quale aveva Serezana occupata, non gli parendo potere con le sue private forze sostenere tanta guerra, donò quella terra a San Giorgio. [4] Ma poi che di San Giorgio e de’ Genovesi si ha più volte a fare menzione, non mi pare inconveniente gli ordini e modi di quella città, sendo una delle principali di Italia, dimostrare [5]. Poi che i Genovesi ebbono fatta pace con i Viniziani, dopo quella importantissima guerra che molti anni adietro era seguita infra loro, non potendo sodisfare quella loro repubblica a quelli cittadini che gran somma di danari avevono prestati, concesse loro l’entrate della dogana, e volle che, secondo i crediti, ciascuno per i meriti della principale somma di quelle entrate participasse, infino a tanto che dal comune fussero interamente sodisfatti; e perché potessero convenire insieme, il palagio il quale è sopra la dogana loro consegnorono. [6] Questi creditori adunque ordinorono fra loro uno modo di governo, faccendo uno consiglio di cento di loro, che le cose publiche deliberasse, e uno magistrato d’otto cittadini, il quale come capo di tutti le esequisse, e i crediti loro divisono in parti, le quali chiamorono Luoghi, e tutto il corpo loro in San Giorgio intitulorono. [7] Distribuito così questo loro governo, occorse al comune della città nuovi bisogni, onde ricorse a San Giorgio per nuovi aiuti, il quale, trovandosi ricco e bene amministrato, lo poté servire; e il comune allo incontro, come prima gli aveva la dogana conceduta, gli cominciò, per pegno de’ denari aveva, a concedere delle sue terre. [8] E in tanto è proceduta la cosa, nata dai bisogni del comune e i servizi di San Giorgio, che quello si ha posto sotto la sua amministrazione la maggior parte delle terre e città sottoposte allo imperio genovese; le quali e governa e difende, e ciascuno anno, per publici suffragi, vi manda suoi rettori, sanza che il comune in alcuna parte se ne travagli. [9] Da questo è nato che quelli cittadini hanno levato lo amore dal comune, come cosa tiranneggiata, e postolo a San Giorgio, come parte bene e ugualmente amministrata: onde ne nasce le facili e spesse mutazioni dello stato, e che ora ad un loro cittadino, ora ad uno forestiero ubbidiscono, perché non San Giorgio, ma il comune varia governo. [10] Tale che, quando infra i Fregosi e gli Adorni si è combattuto del principato, perché si combatte lo stato del comune, la maggior parte de’ cittadini si tira da parte e lascia quello in preda al vincitore; né fa altro l’uffizio di San Giorgio, se non, quando uno ha preso lo stato, che fare giurargli la osservanzia delle leggi sue. [11] Le quali infino a questi tempi non sono state alterate, perché, avendo arme, e danari, e governo, non si può, senza pericolo d’una certa e pericolosa rebellione, alteralle. [12] Esemplo veramente raro e da i filosofi in tante loro imaginate e vedute repubbliche mai non trovato, vedere dentro ad uno medesimo cerchio infra i medesimi cittadini, la libertà e la tirannide, la vita civile e la corrotta, la giustizia e la licenzia: perché quello ordine solo mantiene quella città piena di costumi antichi e venerabili; e se gli avvenisse, che con il tempo in ogni modo avverrà, che San Giorgio tutta quella città occupasse, sarebbe quella repubblica più che la viniziana memorabile.

Note

1. Niccolò Machiavelli, Opere storiche, tomo II, ed. Alessandro Montevecchi and Carlo Varotti (Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, Salerno, 2011), 763–64.

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